L’universo sensoriale dell’uomo contemporaneo si ènotevolmente ristretto e svilito. Il tatto, il gusto, l’odorato, strumenti impareggiahili per una conoscenza non superficiale dell’ambiente e di se stessi, hanno subito una profonda regressione. Il tempo da rincorrere, la velocità da recuperare ci stanno privando di molteplici e privilegiati canali per annusare e assaporare il mondo.
Addestrare nuovamente i sensi, riacutizzare la percezione, affinare una sensorialità atrofizzata sono alcuni aspetti, non secondari, di una plausibile filosofia dell’esistenza. La degustazione, come esercizio di consapevole e riflessa sensorialità, è un pezzo di questo cammino. E viceversa, non c’è degustazione senza la riscoperta e la costruzione di un’adeguata attrezzatura sensoriale.
Grande è il peso dei consumatori nell’orientare le scelte produttive verso la qualità. E la qualità va scoperta, imparata, codificata, al di là degli elementi soggettivi del gusto. Occorrono allora conoscenze che, nel caso del vino, conducano a scoprire le procedure che lo producono, le evoluzioni che lo trasformano, i sistemi che lo conservano, i componenti che lo rendono corretto e quelli che lo snaturano, le caratteristiche – sensibili alla percezione – che ne individuano la tipologia. Si puo’ avviare così una salutare abitudine a riconoscere e valutare quel che beviamo. E se la qualità è un nostro diritto di consumatori, dovremo attrezzarci per riconoscerla ed esigerla.
Avvicinarsi al vino è anche una questione di spirito, di atteggiamenti complessivi di fronte alla vita. Il vino è un ingrediente che, accanto ad altri, segnala uno stile di vita: quello di chi non reprime il piacere ma lo ricerca, scegliendo e governando con la ragione, di chi sa intrattenere intensi rapporti con le radici delle cose, di chi riconosce l’importanza della cultura materiale e della convivialità. La conoscenza del vino, lungi dall’essere intesa come tecnicismo fine a se stesso, diventa occasione di comunicazione e di condivisione di interessi.
Ma c’è di più. Nel clima di neo-proibizionismo e di spettrale neo-puritanesimo che aleggia sulla società contemporanea, l’attaccamento a quei segni-valori che connotano il piacere può rappresentare una vitale difesa.
Chi pensa, perciò, che la formazione del degustatore di vino si limiti a riconoscere sensazioni, a registrarle e ordinarle o a imparare una nomenclatura, si sbaglia: non ci servono stuoli di piccoli tecnici aridi e presuntuosi, ripetitori sussiegosi di nozioni, ma uomini amici del vino.
Liberarsi dai condizionamenti è il primo passo da compiere nell’esercizio della degustazione.
L’abitudine, che ci conduce a giudicare le cose attraverso la loro esperienza esteriore.
L’apparenza, che spesso inganna.
L’autorità di chi sa, o presume di sapere, su quelli che non sanno e si sentono inferiori.
I pregiudizi e i luoghi comuni.
Le mode.
La diffidenza verso la novità e l’originalità, l’attaccamento ai gusti consueti.
Ci serviamo continuamente dei nostri sensi, ma raramente riflettiamo sui processi che avvengono nella sensazione e nella percezione. Se l’attenzione è più vigile, minore è il rischio di inganni percettivi e suggestioni, l’analisi delle percezioni è più ricca, aumentano la soddisfazione e il piacere.
Assaporare un cibo o una bevanda è un’operazione assai complessa. Per sentire e identificare un sapore, occorre che ne respiriamo l’aroma: quello che non sa la lingua lo sa il naso. Il principio per cui un senso viene influenzato da un altro si chiama interazione sensoriale.
All’apprendista degustatore interessa migliorare la propria acutezza sensoriale per potere:
– separare le singole sensazioni;
– decomporre un’impressione complessa nei suoi elementi semplici, e quindi riconoscere la natura, l’ordine, l’intensità degli stimoli che si offrono alle mucose;
– registrare le variazioni di intensità di un profumo, di un sapore, di un colore.
E poiché vista, olfatto e gusto intrecciano una stretta collaborazione, il cammino di apprendimento comprenderà tre tempi:
1) una fase visiva che valuta l’aspetto del vino
2) una fase olfattiva (diretta e retronasale) che scopre gli odori, ovvero i componenti aromatici più o meno volatili
3) una fase gustativa che si svolge nella bocca e giudica i sapori.
Le singole percezioni dominanti dovranno infine essere ricomposte in tina valutazione d’insieme.
– l’attenzione: quella che dipende dalla disposizione interna del soggetto e lo rende concentrato;
– l’intensità dello stimolo: è più facile riconoscere le caratteristiche e valutare un vino con odori marcati;
– l’intermittenza dello stimolo. Uno stimolo, per quanto forte, se è continuo rischia di non essere più avvertito: subentra il meccanismo dell’assuefazione. Per questo, nell’avvertire gli aromi di un vino è molto importante l’impatto iniziale, poi è consigliabile usare l’olfatto in modo intermittente, allontanando il bicchiere per qualche secondo per tornare ad avvicinarlo.
Sensazioni e percezioni si archiviano nella memoria. Perciò, oltre al sentire imniediato, più o meno riflesso, “peschiamo” dall’archivio i ricordi sensoriali qui depositati, che funzionano come punti di riferimento. La degustazione è un continuo confrontare sensazioni immediate e passate, che ci forniscono la chiave di lettura per identificare il presente. E questione di allenamento e di ripetute esperienze: per degustare bene occorre una memoria agile, per trovare entro pochi secondi, fra i ricorcli catalogati, i caratteri del vino introdotto in bocca, per evocare il ricordo.
Attraverso l’esame visivo, oltre alla prima, immediata classificazione del vino in bianco, rosato, rosso, si prendono in considerazione:
LA LIMPIDEZZA
IL COLORE
LA FLUIDITÀ (o viscosità)
GLI ARCHETTI
L’EFFERVESCENZA (nel caso di vini a fermentazione naturale o spumanti)
A) Dopo aver riempito il bicchiere per circa un quarto del suo volume, lo si prende per lo stelo con l’indice e il pollice e, alzatolo a livello degli occhi, lo si osserva in controluce: è il gesto del traguardare per valutare la limpidezza;
B) poi, per fissare l’attenzione sul colore, si inclina leggermente il bicchiere contro un foglio – o un piano – bianco, osservando dall’alto al basso. Scrutando il disco che il vino forma in superficie si verifica se il colore mantiene tono anche ai bordi. Le sfumature si percepiscono inclinando il bicchiere fino al limite del versamento e guardando la zona dove la massa del vino è meno spessa (unghia);
C) infine si fa ruotare lentamente il vino nel bicchiere in modo che le pareti vengano bagnate: si osserva il film liquido che, scendendo lungo le pareti, forma una serie di gocce a intervalli regolari. Queste “lacrime” o “archetti” danno utili indicazioni su alcune componenti del vino;
D) nel caso di vini spumanti o a fermentazione naturale l’attenzione si concentrerà sulla spuma e sulle bollicine.
La limpidezza è indice di un vino stabi1e e sano. Il torbido segnala scorrette pratiche di vinificazione o di conservazione, alterazioni e malattie. Legata alla limpidezza è la trasparenza.
Del colore si osservano e si valutano:
– la vivacità,
– l’intensità,
– le sfumature (o tonalità).
La vivacità è brillantezza, smalto, vivezza e freschezza del colore.
L’intensità e, anch’essa, facilmente riconoscibile: il colore potrà essere chiaro, pallido, leggero, debole; Oppure carico, intenso, coperto, fino a essere scuro, denso, cupo.
Max Léglise paragona i cambiamenti di colore del vino a quelli di un fiore rosso (una rosa, una peonia) raccolto in boccio, pronto a schiudersi. Il colore rosso più vivo e brillante si manifesta nel momento della piena fioritura, in seguito si indebolisce, assume riflessi giallo-ocra e infine vira al bruno. Le componenti fenoliche si comportano analogamente nel vino. La tonalità è quindi un fedele specchio dell’età.
Rosso porpora ricorda il colore della peonia: è intenso con tendenze al viola. Il rosso rubino è un rosso scuro che richiama la pietra omonima ma anche il rosso brillante della ciliegia (utilizziamo anche l’espressione rosso cerasuolo). Il rosso granata, più intenso del precedente, sfuma verso il rosso sangue. Il rosso aranciato richiama il mattone e può virare verso il bruno o il giallo aranciato.
Le tonalità dei rosati percorrono la gamma di sfumature tra l’aranciato e il rosso chiaro. Il rosa pallido è tenue, il rosa è quello dei petali dell’omonimo fiore; il rosa cerasuolo richiama certe ciliegie primaticce; il chiaretto si avvicina al colore dei vini rossi il “buccia di cipolla” è carico di riflessi aranciati.
Bianco carta è il vino quasi incolore. Quando, su di,un fondo paglierino tenue, prevalgono riflessi erbacei, si parla di giallo verdolino; il colore della paglia suggerisce il paglierino, più o meno carico. Giallo dorato è il colore, molto saturo, dell’oro denso di riflessi brillanti. Il giallo ambrato ricorda l’ambra o il topazio e può virare anche al bruno nel caso di vini passiti e liquorosi.
Osservando il vino mentre lo si versa nel bicchiere o facendo ruotare lentamente quest’ultimo, se ne percepisce la fluidità,ovvero la consistenza.
Importanti notizie sul vino che degusteremo le forniscono i cosiddetti “archetti” o “lacrime”. Sono curvature, a intervalli più o meno stretti, che si osservano sulle pareti del bicchiere dopo aver fatto ruotare il vino: una pellicola trasparente e liquida vi si è depositata e colà lentamente verso il basso in forma di lacrime. Questo fenomeno è strettamente collegato al grado alcolico. Sulle pareti del bicchiere avviene l’evaporazione della sostanza più volatile, l’alcol, con un aumento della densità dcl liquido rimanente che vince la tensione superficiale ricadendo verso il basso. Più fitti sono gli archetti, più intenso è il fenomeno evaporativo e maggiore è il contenuto in alcol etilico.
Il fenomeno dell ‘effervescenza, caratteristico negli spumanti, è dovuto alla presenza di anidride carbonica che, liberandosi nel momento in cui il vino viene versato, provoca spuma e bollicine. L’esame dell’effervescenza (il pétillement o perlage) valuta:
– la spuma: deve essere fine e asciutta e svanire nel giro di pochi secondi;
– la quantità delle bollicine: devono essere molte;
– la qualità delle bollicine: il loro diametro deve essere piccolo (0,1 mm), dunque la finezza è indice di un buon perlage;
– la persistenza: in uno spumante di qualità le bollicine sono alimentate dalla “fontanella” che le spinge in superficie;
– il collare: l’anello di spuma finissima che, svanita la spuma iniziale, si forma intorno alle pareti del bicchiere.
Le sostanze responsabili dei profumi sono sostanze volatili, che hanno la proprietà di evaporare. Si è soliti distinguere tre gruppi di profumi, classificati secondo la loro origine.
Primari o varietali: provengono dall’uva e sono legati alla varietà del vitigno.
Secondari o fermentativi: si sprigionano durante i processi di vinificazione, sono gli odori “vinosi” che inondano la cantina quando si vinifica.
Terziari o postfermentativi o da invecchiamento: si formano durante la maturazione e l’invecchiamento, prima in botte e poi in bottiglia.
Profumo ha un significato generale, come principio odoroso emanato dal vino in varie fasi della sua evoluzione.
Per aroma intendiamo prevalentemente quello di origine varietale,ovvero l’insieme dei principi odorosi tipici dei vini giovani (profumo primario).
Il bouquet, tipico dei vini invecchiati (profumo terziario), è l’insieme dei profumi acquisiti con la maturazione. E complesso ed è composto da vari sentori e sfumature.
Le sensazioni collegate all’olfatto sono forse le più importanti per l’esame di un vino. Si prendono in considerazione:
LA QUALITÀ (finezza, franchezza, complessità)
L’INTENSITA
LA PERSISTENZA
LA NATURA del profumo (identificazione dei sentori)
A) Il primo “colpo di naso” si effettua sul bicchiere fermo, senza muovere il vino: accostate il naso al bicchiere e inspirate brevemente per due o tre volte.
B) In un secondo momento si annusa il vino dopo averlo fatto ruotare nel bicchiere per liberare meglio le sostanze volatili. Cominciate imprimendo brevi rotazioni, annusate, poi effettuate un’agitazione più continua e prolungata. Avvicinate il più possibile il naso alla superficie del vino, inspirate profondamente per tre-quattro secondi e ripetete l’inspirazione per due o tre volte intervallando con alcuni istanti di riposo.
Con queste due forme di inspirazione diretta, si valutano l’intensità e la qualità del vino e si fa una prima discriminazione dei sentori: a bicchiere fermo i più leggeri, delicati, volatili, a bicchiere in movimento i più pesanti.
C) L’olfatto interviene ancora quando il vino viene messo in bocca (fase gusto-olfattiva): si percepiscono ora i profumi per via Indiretta o retronasale. Fate girare il vino in bocca , facendo passare un po’ d’aria tra i denti con piccole inspirazioni: sentirete i cosiddetti “aromi di bocca”.
D) Usate ancora il naso dopo aver inghiottito il vino: sentirete il suo aroma persistere in bocca per un tempo più o meno lungo: è la persistenza aromatica intensa (P.A.I.) o fin di bocca, una sintesi di sensazioni più o meno durevoli di tipo olfattivo e gustativo.
E) Infine, date un ultimo “colpo di naso” al bicchiere vuoto: si possono rintracciare sentori prima non avvertiti e trarre indicazioni sull’evoluzione del vino.
Lasciando il bicchiere in riposo per almeno un quarto d’ora, i profumi, specialmente quelli dei vini maturi e complessi, si evolvono in modo sorprendente.
Un profumo è di buona QUALITÀ se è:
1) franco, ossia pulito, netto, privo di odori estranei, anomali o difettosi;
2) fine, ossia elegante, distinto, equilibrato, armonico, non scomposto;
3) complesso, ossia ricco di sfumature odorose.
L’intensità è la forza, la potenza con cui il profumo (sia aroma, profumo o bouquet) si esprime. Il giudizio sull’intensità è subordinato a quello sulla qualità: un profumo molto intenso ma poco armonico e gradevole accentua le caratteristiche negative del vino.
La persistenza è la qualità che rende un profumo continuo e durevole.
È un’operazione che può raggiungere alti livelli di complessità.
Alla base ci sono due fattori generali:
– l’assuefazione: l’olfatto si adegua rapidamente a un profumo e diventa progressivamente insensibile a esso, passando a percepirne un altro meno intenso. Ciò consente di discriminare e identificare i diversi sentori;
– il grado di volatilità delle sostanze responsabili degli odori. Si coglieranno dapprima i profumi più leggeri ed eterei (alcuni profumi floreali e aromatici), poi quelli di media volatilità (i fruttati ed erbacei), infine quelli più pesanti (certe note animali, di catrame, di torrefazione).
Per identificare – e descrivere – i profumi è opportuno seguire una serie di tappe:
1) individuare la tonalità dominante, più netta e intensa, che prevale al primo impatto;
2) ricercare a quale delle grandi famiglie appartiene questo profumo: floreale, fruttato, speziato ecc.;
3) ricercare, all’interno della famiglia, l’odore naturale più vicino.
4) individuare, all’interno della serie precedente, lo specifico frutto di riferimento.
A questo punto saremo in grado di definire anche l’origine dei profumi individuati: primari, secondari o terziari.
Per designare gli odori si adotta il criterio dell’analogia con odori conosciuti di fiori, frutti, spezie o altri prodotti, alimentari e non.
Gli odori comunemente riscontrati nei vini sono stati suddivisi in serie o famiglie.
acacia, biancospino, rosa, iris, geranio, caprifoglio, fior darancio, fior di vite, fiori di campo, sambuco, tiglio, verbena, violetta, giacinto, narciso, gelsomino, ginestra.
erba, felce, fieno tagliato, limoncella, salvia, olive verdi, foglia stropicciata, foglie morte, mallo di noce, peperone verde, funghi, menta, muschio, humus (sottobosco), tabacco, tisana, tè, tartufo.
affumicato, cacao, caffè, caramello, caucciù, cioccolato, creosoto, goudron, mandorla tostata, pane tostato, pietra focaia.
albicocca, ananas, banana, ciliegia, mela cotogna, lampone, ribes, fragola, lampone, limone, agrumi, mandorla amara, mora, moscato, mela, mela ranetta, pera, prugna, frutti esotici.
anice, cannella, chiodo di garofano, finocchio, liquirizia, noce moscata, pepe, alloro, timo, basilico, lavanda, zenzero, vaniglia.
ambra, pelliccia, cuoio, carne, selvaggina, sudore, pipì di gatto, zibetto, foxy (selvatico).
fico secco, mandorla, noce, nocciola, prugna secca, rancio, uva sultanina, confettura, frutta cotta.
resine nobili, pino, incenso, ginepro, trementina.
odori provenienti dal legno in cui il vino è stato conservato, scatola di sigari.
farina , crosta di pane, lieviti, burro, formaggio (odore di latteria), miele, sidro, birra.
Aceto, zolfo, di medicinale, di disinfettante, di celluloide (derivati dai composti chimici del vino: alcol,acetato di etile, anidride solforosa).
smalto per unghie, caramella inglese, sapone, cera, latticini (derivati dalle fermentazioni, dalle esterificazioni degli acidi superiori, dai batteri lattici, da alterazioni della fermentazione).
I sapori fondamentali sono quattro: dolce, acido, salato, amaro.
Nel vino, i sapori dolci, acidi (e in misura minore amari e salati) sono mescolati. Il degustatore dovrà perciò cercare di distinguerli e valutarne il rapporto.
La fisiologia ci viene ancora una volta in aiuto: è dimostrato che i sapori fondamentali si percepiscono in tempi diversi.
Oltre ai sapori in senso stretto la bocca avverte sensazioni di tipo tattile.
Possono essere provocate dal vino:
– l’astringenza – di cui sono responsabili i tannini, sensazione allappante che provoca contrazione delle gengive, impressione di secchezza e rugosità sulla lingua, diminuzione della salivazione;
– il pizzicore dell’anidride carbonica, evidentissimo quando si assaggia un vino spumante. In bocca si avvertono un pizzicore e una sensazione di freschezza;
– il calore, o meglio la sensazione di causticità, di corrosività, di pseudocalore, che si avverte in presenza di acidi, sali metallici, basi, alcol.
Nel vino queste impressioni sono provocate dall’alcol.
Le sensazioni legate alla temperatura, che modifica e falsa profondamente i sapori.
La consistenza, legata in particolare ai vini liquorosi: le sensazioni vanno dal fluido all’untuoso.
A) mettete in bocca una piccola quantità di vino;
B) trattenete dapprima il vino nella parte anteriore della bocca e, muovendolo con la lingua, portatelo a contatto con le parti più sensibili della cavità orale. Possono così essere apprezzate la morbidezza, l’acidità e l’astringenza e il loro equilibrio;
C) trattenendo il vino sulla lingua, aspirate un po’ d’aria: in tal modo si volatilizzano i princìpi attivi del vino e si amplificano la sensibilità gustativa e tattile;
D) espellete o deglutite il vino;
E) effettuate una “masticazione” cadenzata per valutare la persistenza aromatica intensa (P.A.I.).
In sintesi si distinguono tre momenti nella sequenza delle sensazioni gustative:
– l’impatto percepito nei primi secondi
– l’evoluzione della sensazione gustativa
– l’impressione che resta in bocca all’espulsione del vino.
– L’EQUILIBRIO O ARMONIA dei diversi componenti
– l’intensità e la qualità delle sensazioni retrolfattive (AROMA DI BOCCA)
– la persistenza e la gradevolezza delle sensazioni finali (FIN DI BOCCA o DOPO-GUSTO)
– lo stato evolutivo del vino.
Quando mettiamo in bocca un vino e lo facciamo girare rimestandolo con la lingua, proviamo un’impressione globale relativa alla sua struttura o corpo. Il corpo è determinato dall’alcol etilico e dall’insieme delle sostanze non volatili, dette estratti. La struttura complessiva è il risultato di precisi equilibri.
Le sensazioni che in modo più evidente si fanno sentire a livello gustativo e che più incidono sull’equilibrio sono le seguenti.
Il tenore alcolico produce la sensazione di vinosità, sensazione di calore e, al tempo stesso, di forza.
I due termini non sono sinonimi.
Infatti: la dolcezza definisce un vino in base al suo contenuto in zuccheri; la morbidezza (detta dai francesi moelleux) è l’insieme della sensazione di dolcezza (sensazione gustativa vera e propria) e di pastosità (sensazione tattile) che un vino lascia in bocca.
Anche in questo caso occorre distinguere tra il sapore acido effettivamente percepito e la componente acida nel vino, dovuta all’acidità fissa che condiziona in modo determinante l’equilibrio gustativo.
Al gusto l’acidità provoca sensazioni di freschezza, vivacità, vigore. Se troppo alta, il vino sarà aggressivo, aspro, e darà un’impressione di durezza, di spigolosità, di crudezza. Se troppo bassa, avremo un vino molle, piatto, privo di nerbo.
L’astringenza provoca sulla lingua e sulle gengive impressioni di rugosità e secchezza: i vini molto tannici sembrano dunque ruvidi, aspri, allappanti. Al contrario, poiché il tannino concorre a determinare il corpo del vino, avremo vini vuoti, informi, quando la componente tannica è scarsa.
“Alcolicità, morbidezza, acidità,tannicità: dati i principali componenti del vino il risultato finale è la loro “somma algebrica” – Emile Peynaud
Tra di essi intercorrono, dunque, rapporti di reciprocità: di mascheramento (la presenza dell’uno nasconde l’altro), di rafforzamento (la presenza dell’uno potenzia l’altro), di antagonismo (la presenza dell’uno smorza o neutralizza l’effetto dell’altro).
Nei bianchi, pressochè privi di tannino, l’equilibrio è il risultato dell’azione contrastante morbidezza/acidità. Per questo si parla di vini “a due dimensioni”.
Qualche precisazione:
– nei vini bianchi secchi da bersi giovani l’equilibrio ottimale sarà dato da una sufficiente morbidezza e da una leggera dominanza di acidità, che conferirà vivacità e freschezza;
– nei vini bianchi più strutturati, che si esprimono al meglio dopo un periodo di invecchiamento, ci sarà equilibrio se l’acidità, moderata, è controbilanciata da una morbidezza, dovuta a una buona alcolicità, leggermente dominante;
– nei vini bianchi liquorosi, all’equilibrio acidità/morbidezza si aggiunge quello fra alcol e zuccheri: l’alcolicità dovrà essere piuttosto elevata per antagonizzare l’alta percentuale di zuccheri residui;
– nel caso di bianchi fermentati o affinati in legno, bisognerà tenere conto di una leggera componente tannica, non paragonabile comunque a quella normalmente presente nei rossi.
A determinare l’equilibrio dei rossi entrano in gioco morbidezza, acidità e tannicità: per questo si parla di vini a “tre dimensioni”.
Qualche precisazione:
– poiché acidità e astringenza si rinforzano a vicenda, un vino rosso risulta squilibrato se ha contemporaneamente un alto livello di acidi e di tannini;
– nel caso di rossi giovani, una punta in più di acidità contribuisce alla freschezza complessiva. Di contro un tannino discreto garantirà una buona morbidezza;
– nei rossi da invecchiamento sarà normale un’iniziale predominanza della tannicità, necessaria per conferire longevità, con l’affinamento questi vini acquisteranno rotondità e morbidezza, pur conservando una caratteristica componente di astringenza (austerità).
L’olfatto partecipa in modo determinante alla sensazione del gusto. Nel giudizio sulla qualità di un vino è determinante quello che si definisce l’aroma di bocca, cioè il complesso delle sensazioni gusto-olfattive percepite per via retronasale.
Una volta espulso il vino, si continuano a percepire per alcuni secondi sensazioni uguali o comunque molto simili a quelle provate quando il vino era in bocca. L’insieme di queste sensazioni finali è detto fin di bocca o anche dopo-gusto.
Rispetto ad esso valuteremo:
– la durata della persistenza aromatica intensa (P.A.I.);
– la qualità dell’impressione finale.
La prima, legata alle sensazioni olfattive retronasali, si misura effettuando, prima che nuova saliva entri in bocca, una serie di masticazioni cadenzate.
Rispetto all’impressione finale invece, si tratta di valutazioni legate alla gradevolezza.
Definiremo giovane un vino che ha bisogno di un ulteriore periodo di affinamento; pronto un vino che è nelle condizioni di essere bevuto e apprezzato; maturo quello che ha raggiunto uno stadio di evoluzione ottimale: è consigliabile consumarlo.
Tonalità di colore ambrate (per i bianchi) o bruno-mattone (per i rossi) e profumi maderizzati sono indici sicuri di un vino finito.